INGREDIENTI PER 6 PERSONE
Per l’impasto:
250 g di farina, 125 g di zucchero, 125 g di mandorle dolci sgusciate, 40 g di burro a temperatura ambiente, 2 uova, la buccia grattugiata di ½ limone, un pizzico di cannella (facoltativo), qualche cucchiaio di un liquore a scelta (rosolio, rhum, limoncello, grappa…)
Per spennellare:
un tuorlo d’uovo.
PREPARAZIONE
Immergere per due minuti le mandorle in acqua bollente.
Estrarle dall’acqua e strizzarle, ad una ad una, tra pollice ed indice, in modo che il frutto esca fuori dal rivestimento.
Pestarle in un mortaio con lo zucchero, sminuzzandole fino ad ottenere dei granelli non molto grossi.
Versare a fontana la farina sulla spianatoia ed incorporare il composto di mandorle e zucchero, il burro, le uova e la quantità di liquore necessaria per ammorbidire l’impasto.
Amalgamare il tutto e formare dei cilindri, da cui ricavare dei piccoli dolci, della lunghezza di 2-3 cm e di forma simile ad una grossa fava, un po’ schiacciata sulla superficie superiore e al centro.
Con un coltello incidere ogni fava ad una estremità, per simularne l’aspetto reale.
Disporre le fave su una teglia ricoperta di carta da forno e spennellarle con il tuorlo d’uovo, precedentemente sbattuto.
Infornate per circa 10-15 minuti a 150°C.
Appena le fave assumeranno un colore leggermente dorato, sfornarle immediatamente, perché, essendo piccole, si potrebbero bruciare in brevissimo tempo.
NOTE
- Alcuni non spennellano le fave con il tuorlo d’uovo, ma con l’ albume, precedentemente sbattuto, preferendo dare ai dolcetti una tonalità più chiara.
- Se si preferisce un sapore di mandorle più deciso, invertire le proporzioni tra le mandorle (250 g) e la farina (125 g).
Gli altri ingredienti mantengono le stesse proporzioni.
STORIA, ORIGINE E CURIOSITÀ
Fin dall’antichità le fave sono state considerate collegate al mondo dell’oltretomba.
Probabilmente, è stato l’aspetto stesso delle fave ad evidenziare il legame con i defunti :
- Il fiore di fava, da cui, poi, si svilupperanno i baccelli contenenti i semi, è di colore bianco, maculato di nero, colorazione rara nel mondo vegetale e, da sempre, legata alla morte.
- Sembra, poi, che le macchie nere siano disposte in modo da formare la lettera greca “tau”, iniziale del termine greco “Tanatos”, che significa “morte”.
- Infine, il gambo della pianta è cavo e privo di interruzioni e nodi ed affonda le sue radici in profondità, fino a raggiungere il regno dei morti.
Tali caratteristiche del legume, fin dalle antichità più remote, hanno collegato le fave ai defunti.
Presso le civiltà più antiche, credenze e superstizioni sono state strettamente legate al legume:
- Presso gli antichi Egizi, le fave erano tabù: non venivano né mangiate né toccate, essendo considerate impure, neppure dai sacerdoti, che evitavano, addirittura, di guardarle.
- Presso gli antichi Greci, si credeva che le fave contenessero le anime dei defunti, risalite dall’Ade sulla terra attraverso il gambo vuoto della pianta.
- Lo stesso filosofo Pitagora (VI-V sec. a.C.) era convinto che le anime tormentate dei defunti, non avendo trovato pace nel mondo dei morti, dimorassero all’interno delle fave, considerate in grado di trasferire negli esseri viventi le anime dei defunti, particolarmente di quelli senza pace.
Pertanto, alle fave erano legate numerose superstizioni e riti per esorcizzare le paure umane.
- Presso gli antichi Romani, le fave, specialmente quelle scure, venivano offerte alle divinità degli Inferi: Plutone, Proserpina, Parche…, confermando il legame tra fave e morte.
- Il poeta romano Publio Ovidio Nasone (43a.C-18d.C), nei “Fasti” scrive che durante i Lemuralia, feste in onore dei defunti, che si svolgevano a Maggio, il “pater familias” si aggirava per la casa, gettando alle sue spalle mucchietti di fave, per allontanare i “lemuri”, spiriti malvagi che, a differenza dei Mani, protettori dei parenti, perseguitavano i viventi.
- Nell’antica Roma, si usava, anche, spargere le fave sulle tombe dei parenti e le classi più agiate le offrivano ai poveri come elemosina, forse per propiziarsi i defunti.
- Con l’avvento del Cristianesimo, molte di queste credenze andarono, nel tempo, perdendo valore.
- Restò, però, il legame tra fave e Commemorazione dei Defunti.
- Le fave vennero utilizzate come alimento da distribuire ai poveri, in suffragio delle anime dei defunti.
- Venivano, anche, mangiate durante i pranzi in cui ci si riuniva per commemorare un defunto e questa consuetudine è ancora viva in varie località della Sicilia, dove si è soliti consumare, in occasione della “Festa dei Defunti”, le “favi a cunigghiu” (fave a coniglio), dette in alcuni parti anche “favi ’n quasuni”.
- Dall’abitudine di mangiare fave dopo i funerali, nasce la tradizione di preparare le “Fave dei morti”, un dolce estremamente semplice dal punto di vista degli ingredienti, ma ricco di significati allegorici e strettamente legato alla concezione cristiana dello stretto legame tra vivi e morti, del quale il poeta Foscolo scrive:
Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi…
(U. Foscolo, Dei Sepolcri v. 29 e ss.)
- Le “fave dei morti”, dunque, uno dei tanti dolci diffusi nelle tradizioni legate al giorno dei morti, nell’immaginario collettivo diventa anello di congiunzione tra vivi e morti, tra chi abbiamo amato e noi.
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